La Corte di cassazione, con la sentenza n. 28071 del 9 dicembre 2020, accogliendo il ricorso di un ciclista investito da un’auto in corsa, ha affermato che è diritto del danneggiato che abbia perso a causa di un sinistro stradale un lavoro a tempo indeterminato ottenere il danno patrimoniale da lucro cessante, che deve essere parametrato all’intero delle retribuzioni che la vittima avrebbe percepito e non rapportato alla percentuale di invalidità.

Nel caso specifico la Corte di Appello di Venezia aveva condannato i convenuti – oltre all’Istituto assicurativo, il conducente ed il proprietario – a pagare al ricorrente circa 320mila euro per i “danni patrimoniali e non”, e 30mila euro per il danno patrimoniale da lucro cessante. Contro questa decisione il ricorrente ha sostenuto che la Corte di appello aveva errato nel liquidare in suo favore il danno patrimoniale nella misura di un terzo, “cioè nella misura pari alla menomazione della sua capacità lavorativa accertata dal consulente tecnico di ufficio”.

Eccezione condivisa dalla Cassazione che ricorda come la vittima avesse perduto il proprio impiego a tempo indeterminato in conseguenza dell’incidente, “in quanto, a causa dei relativi postumi, ha superato il periodo di comporto ed è stato licenziato, senza che risulti che sia riuscito a reperire un’altra occupazione”. Dunque, prosegue la decisione, “il danno patrimoniale relativo alla sua perdita reddituale avrebbe dovuto essere liquidato sulla base dell’importo (eventualmente capitalizzato) delle retribuzioni che avrebbe conseguito in virtù del suo preesistente rapporto di lavoro, se non fosse stato licenziato a causa delle lesioni riportate nel sinistro, fino alla data della pensione, oltre che degli assegni familiari, della perduta possibilità di progressione in carriera e del danno pensionistico”.

“Di conseguenza, la percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica conseguente all’incidente, riconosciuta dal consulente tecnico di ufficio nella misura del 33% (che peraltro, sommata alla precedente invalidità dell’attore, risulterebbe avere determinato una invalidità complessiva del 75%), non poteva avere in concreto alcun rilievo ai fini della liquidazione del danno patrimoniale”.

Riconoscendogli soltanto il 33%, e non il 100%, delle retribuzioni e degli altri importi persi, la Corte territoriale ha violato l’art. 1223 c.c., in quanto non ha riconosciuto al danneggiato “l’intero pregiudizio subito in concreto, pregiudizio che, nella specie, consiste nella perdita dei redditi (in parte futuri) derivanti dal rapporto di lavoro dipendente di cui era titolare, venuto meno in conseguenza del fatto illecito del convenuto”.

Né, conclude la decisione, potrebbe sostenersi che il danneggiato avrebbe dovuto dimostrare che non era possibile per lui reperire un’altra attività lavorativa. “Avrebbe infatti dovuto essere il danneggiante a dimostrare, eventualmente, che il danneggiato aveva trovato un nuovo impiego, secondo i principi generalmente affermati da questa corte in tema di danno da licenziamento”.

Con tale decisione viene quindi enunciato dalla Cassazione il seguente principio di diritto: “laddove il danneggiato dimostri di avere perduto un preesistente rapporto di lavoro a tempo indeterminato di cui era titolare, a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, il danno patrimoniale da lucro cessante, inteso come perdita dei redditi futuri, va liquidato tenendo conto di tutte le retribuzioni (nonché di tutti i relativi accessori e probabili incrementi, anche pensionistici) che egli avrebbe potuto ragionevolmente conseguire in base a quello specifico rapporto di lavoro, in misura integrale e non in base alla sola percentuale di perdita della capacità lavorativa specifica accertata come conseguente alle lesioni permanenti riportate, salvo che il responsabile alleghi e dimostri che egli abbia di fatto reperito una nuova occupazione retribuita, ovvero che avrebbe potuto farlo e non lo abbia fatto per sua colpa, nel qual caso il danno potrà essere liquidato esclusivamente nella differenza tra le retribuzioni perdute e quelle di fatto conseguite o conseguibili in virtu’ della nuova occupazione”.